Misure di austerità e mercificazione dell'acqua

Appena pochi mesi prima del riconoscimento dell'acqua come diritto umano da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (28 Luglio 2010) un portavoce della Commissione, tal J.Hennon, ebbe la poco felice idea di esplicitare la vera opinione della Commissione sulla questione della gestione delle risorse idriche in Europa.

In un'intervista a EU Observer, infatti aveva affermato “we consider water to be a commodity as anything else” e la Commissione, in sostanza, non aveva smentito che dal suo punto di vista l'acqua fosse, appunto, una merce come tutte le altre. Certo il contesto della frase si riferiva ai costi di gestione (almeno in teoria), ma non è stato necessario attendere molto per avere ulteriori conferme in merito. Non appena la crisi economica ha cominciato ad aggravarsi colpendo in primo luogo i Paesi Europei dalla situazione più problematica, come la Spagna, il Portogallo, l'Italia e la Grecia l'acqua è tornata a diventare argomento di discussione nel quadro della famigerata “austerity”.

Le misure di austerità promosse quale reazione alla crisi economica, peraltro, non hanno prodotto soltanto conseguenze a breve e medio termine sul economico e naturalmente politico ma hanno innescato, non casualmente, meccanismi difficilmente reversibili a tutto vantaggio di scelte politiche neoliberiste e aprono la strada a processi di ulteriore privatizzazione.

Del resto una delle conseguenze più evidenti dei programmi di austerity promossi da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale è un taglio progressivo alle spese pubbliche che implica, nel caso della gestione dei servizi, una delegazione ai privati.

Una simile problematica non poteva dunque non toccare il settore dell'acqua dove la dialettica oppositiva fra privatizzazione e gestione pubblica è non soltanto antica ma anche fortemente radicata. Come sappiamo, infatti, circa il 30% della popolazione europea ha accesso ad acqua “privatizzata” e alcuni Paesi, come la Francia e il Regno Unito (rispettivamente con le due più importanti multinazionali del settore-Suez e Veolia- e con un modello di privatizzazione totale ereditato dalle misure thatcheriane), sono particolarmente esemplari. D'altra parte, a livello europeo, la lotta contro la privatizzazione dell'acqua è sempre stata molto forte.

Le misure di austerità, proposte, imposte e ad ogni modo applicate, in particolare nei Paesi sottoposti a “salvataggio” ripropongono con forza un taglio sui servizi pubblici e dunque un incremento nella presenza dei privati.

Nel caso della gestione delle risorse e dei servizi idrici l'impatto delle misure di austerità è apparentemente meno esplicito nel breve termine (gli effetti della privatizzazione di un servizio pubblico sono meno immediati, per esempio, dell'aumento dell'età pensionabile o dei tagli nel servizio sanitario nazionale). ma proprio per questo motivo il già precario diritto all'acqua è ancora più a rischio.

Le pressioni in vista di un sempre maggiore intervento di imprese private nella gestione dei servizi idrici è coerente con il quadro complessivo il cui leitmotiv è la riduzione del debito: la teoria sarebbe che una volta venduti i servizi pubblici alle imprese private il debito del Paese verrebbe ridotto, garantendo comunque il servizio tramite appunto gli operatori privati. Numerosi esempi hanno smentito la teoria. Ciononostante è proprio questa la linea delle misure di austerità attuali.

In alcuni Paesi queste misure sono state applicate in scala più ampia laddove in altre le raccomandazioni non sono diventate ancora effettive.

Naturalmente i Paesi più colpiti dall'austerity sono proprio quelli in cui la crisi economica è stata finora più forte, come Grecia, Spagna, Italia e Portogallo.

In alcuni casi l'acqua è esplicitamente menzionata nei piani di austerity, in altri casi la privatizzazione delle gestione delle risorse idriche è parte di un contesto più generale che mira all'apertura del mercato dei servizi.

In Grecia, per esempio le misure proposte/imposte dalla Troika includevano esplicitamente alcune compagnie che il governo avrebbe dovuto vendere, o, più precisamente, avrebbe dovuto completare un'operazione di vendita già iniziata: caso emblematico quello delle compagnie di distribuzione dell'acqua di Atene e di Salonicco che rappresentano gli unici due casi di compagnie pubbliche a partecipazione privata. L'obiettivo era quello di metterle completamente sul mercato.

In alcuni casi, per esempio in Portogallo, la vendita a privati dell'azienda idrica è stata preceduta da una sorta di nazionalizzazione che ha sostanzialmente reso il processo più semplice. In generale la privatizzazione dei servizi ha coinciso anche con un processo di mancata o non rispettata democrazia e partecipazione cittadina (è il caso, naturalmente, dell'Italia – con conseguente e ben nota campagna di “obbedienza civile” in riferimento alle scelte referendarie - ma anche quello della Spagna)

Rispetto al primo ciclo di privatizzazioni che, sull'onda lunga delle scelte del governo Thatcher, si erano sviluppate in Europa nel corso degli anni novanta, questo nuovo processo economico si inserisce in un quadro più ampio e più inquietante che vede un generico e generalizzato attacco nei confronti dei servizi pubblici: un attacco che è al tempo stesso economico e sociale. Inutile aggiungere che a fare le spese di tali politiche sono in primo luogo le componenti più deboli della società.

In tutti i Paesi i meccanismi di privatizzazione si assomigliano, quantomeno nel modo in cui vengono presentati: i Governi, in un tentativo di adeguarsi alle misure di austerità “dell'Europa” alle quali aderiscono in grado diverso caso per caso, presentano la privatizzazione come la soluzione migliore tanto per i cittadini quanto per lo Stato, tanto per gli investitori quanto per la compagnia che verrà privatizzata. La privatizzazione sarebbe persino la soluzione migliore per i lavoratori.

In sostanza l'approccio delle misure di austerità ricalca perfettamente la retorica delle grandi multinazionali dell'acqua, che naturalmente traggono il massimo vantaggio dall'applicazione di queste politiche.

Il risultato reale delle quali, come prevedibile, è esattamente opposto: da una parte i lavoratori e dall'altra gli utenti sono le prime vittime di questo meccanismo. L'esempio greco offre numeri significativi sulla base della sola partecipazione privata alla gestione e lascia presagire ulteriori e peggiori scenari con una totale privatizzazione: il numero dei lavoratori è stato dimezzato nel corso degli ultimi dodici anni - semplicemente non sostituendo il personale che andava man mano in pensione – e i prezzi sono aumentati di circa il 300%.

Situazioni analoghe si presentano naturalmente anche altrove con tagli sui lavoratori, aumenti delle bollette e, spesso, peggioramento del servizio, oltre naturalmente ad alcune rilevanti questioni ambientali.

In Paesi in cui, per ragioni differenti, la gestione statale è stata talvolta considerata (a torto o a ragione) problematica e poco efficiente, in altre parole in Paesi in cui il “pubblico” tende a funzionare in maniera imperfetta, la retorica della privatizzazione ha avuto facile gioco ad attecchire; soprattutto in considerazione della situazione di crisi economica e dell'esplicito riferimento a modelli economici ispirati da politiche neoliberiste nel quadro delle misure di austerità proposte a livello europeo. Praticamente una combinazione perfetta per mettere in opera lo smantellamento del pubblico, tanto caro alle politiche economiche di destra, con la scusa della riduzione del debito.

Il meccanismo, innescato con la crisi del 2009 e esplicitamente formulato con le misure di austerità, permane con le raccomandazioni in vista degli obiettivi EU 2020: l'apertura del mercato nel settore dei servizi rimane parte integrante delle raccomandazioni per il prossimo anno, tanto per l'Italia quanto per altri Paesi Europei. Come è ovvio, fra i servizi, l'accesso all'acqua è una questione fondamentale.

pubblicato in il Granello di Sabbia | numero 5